venerdì 23 dicembre 2011

In memoria di Samb Modou e Diop Mor, uccisi a Firenze.



Mi fermo davanti al cancello socchiuso dove mi accolgono sei larghi sorrisi. Hanno preparato le sedie, sono lì ad aspettarmi. Non voglio esagerare, ma quanta gioia per un vecchio insegnante! Per loro la scuola è davvero importante. Saluti, strette di mano. Un tavolo di formica è stato spostato all’esterno, un po’ unto in verità, ma va bene così, e mani cortesi mi aiutano a portare il borsone, mentre folate di spezzatino in cottura arrivano dall’interno di una delle case. Oggi farò due ore, una di italiano, l’altra di educazione civica. Parlerò della Costituzione, della sua storia, di cosa contiene. Dei doveri ma anche dei diritti. E delle lotte necessarie, sacrosante, ogni qualvolta qualcuno tenti di conculcarli. 
Vale la pena vivere. Sì, questa è la mia vita, ora. Per Valentina. Per Giovanna. E per questi uomini, per queste donne. 
Per Adam, che ha una cicatrice dalla fronte al mento con ancora i segni dei punti e un sorriso dimesso, buono. E per sua moglie Amina, dolce nel suo lungo abito colorato e nel velo azzurro che le copre il capo, e per i due bambini che si rincorrono tra le case. 
Per Solef, trentacinque anni, intelligente, accurato nell’apprendere, preciso, determinato, in un mese ha già imparato a leggere e a scrivere, e anche con i conti se la cava abbastanza bene. 
Per Khaled, giovane silenzioso, puntuale, un po’ intimorito, che fatica parecchio con la lingua ma sa scrivere bene.
Per Amin, il tunisino che prima mi girava al largo e al quale ora do il libro di secondo livello, per lui che sa già leggere e mi chiede alcune regole alla fine della lezione, quando l’imam ha già iniziato a intonare le sue preghiere. 
Per Ali, che ora ha la camicia a pois bianchi sempre ben chiusa, anche se composto e con le mani ferme proprio non ci riesce a stare. 
Per Mohamed, dal sorriso franco e caldo, sempre allegro, anche lui del Bourkina Faso, nel centro dell’Africa. 
Ma perché, ma come hanno avuto l’idea di arrivare fino a qui? Mi smarrisco incerto nelle rappresentazioni mentali, negli stereotipi sull’Africa, savane, tramonti infuocati, terra rossa, villaggi di paglia e di fango. 
Donne. Uomini. Ciascuno con la sua famiglia, i suoi figli, ciascuno con una madre che l’ha cresciuto, ciascuno con un cuore rosso che pulsa nell’attesa del futuro. Donne e uomini intenti a stendere con infinita pazienza, sui precari stenditoi appoggiati all’esterno delle loro abitazioni, la coperta umida, la giacca bagnata dal temporale, i calzoni appena lavati. 

Per fortuna oggi non piove. 

(dal finale di "Città contro")

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