giovedì 12 gennaio 2012

INTERVISTA DI "GIALLOMANIA"

Your Company

Tu sei un attore, e anche un grande scrittore. Sei del ’49 quindi si può dire che sei un sessantottino a tutti gli effetti. Cosa ha lasciato quel periodo nella tua scrittura?
Io ho una visione della scrittura che sicuramente risente della mia storia personale, dal ’68 in poi. In effetti, io non riesco a scrivere storie di puro intrattenimento, lo spunto per scrivere un romanzo mi viene ogni volta da un aspetto della  realtà sociale e politica che mi colpisce particolarmente. Così è stato per “La fossa comune”, ambientato a Mosca nel periodo di passaggio dall’URSS alla Russia di Eltzin, così è stato per i due libri successivi ambientati a Treviso. E così è per quello che sto scrivendo. Per me maneggiare cultura, e nel nostro caso letteratura, significa essere testimoni critici del proprio tempo. E’ in fondo la lezione del Noir mediterraneo, di Massimo Carlotto, uno dei miei punti di riferimento.
Tu sei trevisano o trevigiano di origini anche se vivi a Milano da anni. Hai scritto due libri per l’Eclissi editrice entrambi ambientati a nella provincia trevisana e a Treviso .C’è qualche motivo particolare per quest’ambientazione oltre alla conoscenza dei luoghi?
La conoscenza dei luoghi è fondamentale, almeno nella mia concezione, per i motivi cui accennavo sopra, per i legami profondi tra ciò che si scrive e la realtà. Detto questo, la provincia trevisana mi sembrava emblematica per i temi che volevo trattare nei due romanzi cui facevi riferimento, il conformismo, l’ipocrisia e il familismo amorale in “La gabbia criminale” e il complicato rapporto con il mondo dell’immigrazione in “Città contro”.
Il tuo primo libro con Eclissi è la “Gabbia Criminale” dalla quale poi prendi il protagonista per il secondo libro che non è esattamente un sequel ma che è forse il miglior noir di denuncia sociale di questo periodo e che si intitola:” Città contro”. Da che esperienze nasce questo libro?
Ho deciso di scrivere “Città contro” quando il governo Berlusconi ha emanato la legge Maroni sulla cosiddetta sicurezza, quella che ha introdotto, tra l’altro, il reato di clandestinità e restrizioni sul permesso di soggiorno.  E quando a Milano, con la giunta Moratti, si è istituzionalizzata una sorta di caccia all’immigrato. Il tema epocale dell’immigrazione trattato come mero problema di ordine pubblico. Allora ho approfondito il tema facendomi aiutare da un’amica trevisana, una insegnante in pensione, che qualche anno fa insegnava l’italiano in un campo di immigrati alle porte di Treviso. Questa amica  mi ha fornito un’ingente mole di documentazione e mi ha fatto conoscere l’esperienza di molte persone che hanno vissuto sulla loro pelle l’emarginazione nella quale istituzioni sorde e l’incultura di gran parte della nostra cittadinanza le ha costrette, e soprattutto le costringe oggi, a vivere, o meglio, a sopravvivere.
La tua scrittura è dura e tagliente ma alcune volte rasenta anche il lirismo,si percepisce spesso una struttura teatrale?
Può essere che, sul piano inconscio, parte della mia scrittura risenta dell’esperienza teatrale, soprattutto nei dialoghi, che, in fase di scrittura, spesso rileggo ad alta voce per vedere se “suonano bene”. Quello che chiami “lirismo” deriva forse dal fatto che in genere racconto sì storie dure, ma i protagonisti sono esseri umani a tutto tondo, quindi con aspetti che esulano dalla mera narrazione di fatti più o meno delittuosi. Il “lirismo”, inoltre, dovrebbe suggerire quel tanto di speranza che anche in situazioni difficili è importante conservare. Questo, ad esempio, è il senso di un personaggio come Valentina.
Quanto del tuo “lavoro” di attore hai trasferito sulle tue opere librarie?
Forse, e dico forse perché non ne sono consapevole, vi ho trasferito la cura del dettaglio con cui tratteggio la “scena” di un evento, in modo che il lettore la possa a sua volta vivere come se si trovasse ad assistervi di persona. Una “scena” che deve essere comunque essenziale, con pochi e motivati elementi, in grado di suggerire in maniera autonoma l’atmosfera di quel particolare momento del racconto, in sintonia o, a volte, in contraddizione dialettica con il suo contenuto. Sì, oltre ai modi con cui faccio dialogare i miei personaggi può essere che anche l’elemento scenografico sia in parte frutto della mia esperienza di attore. Adesso che mi ci fai riflettere penso ad esempio al prologo de “La gabbia criminale”, al dialogo finale in cui il protagonista svela che cosa veramente sia la “gabbia criminale”, o al dialogo tra Modibo, Selim e il Moro, nel casolare abbandonato che ospita gli immigrati-schiavi,  in “Città contro”.
Con che occhi osserva il mondo uno scrittore/attore?
Posso dire come lo osservo io,  che mi considero ancora uno scribacchiante più che uno scrittore vero e proprio. Uno scrittore (e un attore, anzi, meglio, un regista) per me dovrebbe essere un osservatore critico della realtà che lo circonda, e realizzare nelle sue opere una sintesi conoscitiva che consenta ad altri (i lettori, gli spettatori) di vedere le cose da un punto di vista diverso da quello comunemente accettato. Dare elementi ulteriori di valutazione, non certo soluzioni. Deve instillare il tarlo del dubbio, deve mettere in crisi, fare in modo che chi legge si ponga delle domande, e, perché no,  scopra finalmente il piacere di una ricerca personale al di fuori degli schemi ufficiali e istituzionali.
Come vedi la società di oggi rispetto alla scrittura e alla cultura?
Già una società cui in vent’anni è stato inculcato un modello di vita fatto di apparenza, di competizione, di “nani e ballerine”, in cui gli elementi determinanti sono il denaro e il successo personale conseguiti a qualsiasi costo, non è una società molto recettiva di un concetto di cultura così come l’intendo io. Con la crisi che stiamo attraversando (morale, sociale e politica prima ancora che economica) la situazione è ancora peggiorata. Basta vedere quali sono i libri che molte librerie, soprattutto le grandi catene, espongono in vetrina in bella vista per rendersene conto. Devo dire però che, negli ultimi tempi, sprazzi di “rivolta” anche in questo ambito li ho avvertiti, e mi fanno sperare in meglio. E il successo di certi autori noir, che per me si conferma uno dei generi letterari più incisivi rispetto alla necessità culturale della “testimonianza critica” cui accennavo in precedenza, è lì ad attestarlo.
Rosa D’emidio tua Editrice e scrittrice a sua volta ha avuto parole di grande elogio per te,il vostro è stato un colpo di fulmine letterario immediato?
Non so che dire, mi fa molto piacere se davvero ha avuto le parole di gradimento che mi dici. Il motivo però, più che a me, dovresti chiederlo a lei. Forse Rosa ha trovato nella mia scrittura delle assonanze con la sua, o forse una storia come “La gabbia criminale” aveva degli aspetti legati al contesto del dopoguerra, al recupero di ambienti e modi di vivere di allora nei quali lei si è riconosciuta, e per i quali è scoccata una sintonia che l’ha spinta a pubblicarmi. E mi auguro che questo “colpo di fulmine letterario” continui nel tempo.
Cosa pensa Alessandro Bastasi del mondo editoriale oggi tenuto conto che molti si definiscono scrittori pur essendosi auto pubblicato e pagato per pubblicare il loro libro?
Il mondo editoriale, oggi più di ieri, è formato da case editrici mainstream che pilotano inevitabilmente i gusti del vasto pubblico, oltre a tenerne debito conto nelle scelte editoriali in un circolo non sempre virtuoso. Poi esistono le case editrici indipendenti, spesso molto interessanti nelle loro proposte, che per sopravvivere in genere devono optare per una ricerca di nuovi autori di qualità,  e che non sempre però, per la loro fragilità economica, per carenza di risorse qualificate, riescono a mantenere una produzione di testi tale da farle emergere come meriterebbero. Con la conseguenza, in seconda battuta, di lasciarsi a volte sfuggire autori di valore. A differenza di altri io non condanno a prescindere gli autori che si rivolgono, come ultima spiaggia, a case editrici che pubblicano a pagamento. In teoria, potrebbero essere degli autori eccezionali che hanno avuto la sfortuna di incappare in editor troppo sensibili alle esigenze del mercato e solo a quelle. Oppure autori che non hanno saputo mirare la loro attenzione alle case editrici più consone rispetto al loro genere. Stigmatizzo invece a tutto tondo le case editrici, o sedicenti tali, che lucrano sui sogni degli esordienti offrendo proposte di pubblicazione assurdamente costose, spesso senza nemmeno aver letto l’opera. Se qualcuno desidera comunque pubblicare il suo libro, gli consiglierei, invece di farsi spennare, di autopubblicarselo e di diffonderlo in rete gratuitamente, di usare insomma tutti i mezzi che i social network mettono a disposizione per iniziare a confrontarsi con un pubblico, pur limitato, di potenziali lettori diversi dai soli parenti e amici del cuore. E di essere tanto umili da accettare, poi,  il loro responso, quale che sia.
Domanda di rito. Cosa hai in pentola prossimamente?
In questo momento sto scrivendo un romanzo dal titolo provvisorio “I terroristi”, che, sempre utilizzando il plot del noir, vuole analizzare la reazione di un ex terrorista (tipo BR, per intenderci) di fronte alle sfide e alle contraddizioni sociali del mondo attuale, così diverso dagli anni ’70. La location viaggia tra Milano e il Medio oriente. L’assassinio di una persona cara costringerà il protagonista a fare i conti con il suo passato. Anticipo solo che riferimenti alla cronaca recente e meno recente renderanno molto riconoscibili alcuni dei personaggi. Un’altra idea, al momento solo abbozzata nella mia mente, si rifà ai due libri di ambientazione trevisana, dove vorrei ritrovare il nostro Alberto Sartini alle prese con una città messa a ferro e fuoco da una serie di eventi delittuosi. Di questo però riparleremo il prossimo anno.

Nessun commento:

Posta un commento