venerdì 24 febbraio 2012

Una recensione di Marco Proietti Mancini

In “Città Contro”, Alessandro Bastasi usa parole sgradevoli, le associa in frasi che non tolgono nulla alla crudezza, alla fastidiosità di certi termini. Sono parole scomode. Ma sono le parole giuste per descrivere e per far capire quello che Alessandro Bastasi vuole raccontare.
Quindi le parole, tutto il romanzo di Alessandro Bastasi, diventa duro, duro come le vite che ci sono dentro, ma mai fastidioso, perchè altrimenti vorrebbe dire che noi che lo leggiamo siamo tanto ipocriti da considerare fastidioso vivere, vedendoci rappresentati e riprodotti nel libro di Alessandro (tranquilli, ci siamo tutti, ma proprio tutti, senza esclusioni di età, di ceto, di categoria).
Intendiamoci, c’è un altro motivo, squisitamente stilistico e tecnico, per cui il romanzo di Alessandro, pur essendo tutte le cose ho scritto, duro, sgradevole, scomodo, crudo, non diventa mai fastidioso; perchè Alessando non esagera mai, non indulge in istrionerie e iperboli narrative. Non c’è mai compiacimento, gratuità, nella scelta dei suoi termini, nè che sia per descrivere una morte orrenda, nè che sia per descrivere una scena di sesso.
La verità è istantanea, è evidente e non ha bisogno di esagerazioni, Alessandro si limita a raccontarcela, a rappresentarcela dal di dentro e dal di fuori, così com’è; quando si sceglie di raccontare storie sgradevoli, non lo si può fare usando il pennellino ed i colori pastello, con sfumature acquarellate. Il sangue è rosso, caldo, le ossa che si frantumano fanno rumore, un cazzo è un cazzo, non è un pene. Però si può evitare di usare aggettivi che enfatizzino il colore del sangue, il rumore delle ossa, la forma di un cazzo, si può evitare di compiacersi di ciò che si racconta, rendendosi in qualche modo complici di un pessimo gusto dell’orrido, usando ampificatori che servono solo a alimentare la morbosità di chi gode solo nelle esagerazioni. Alessandro sa usare la misura necessaria per raccontare la verità senza nessun compiacimento.
I personaggi del romanzo di Alessandro Bastasi sono tutti, nessuno escluso, degli sconfitti; i protagonisti “positivi” hanno dentro una vena di delusione della vita, non sono stati capaci di continuare a lottare in ciò in cui credevano, si sono arresi alla fatalità delle scelte obbligate e delle convenzioni, si sono impigriti, adagiati su convenzioni e formalismi. Hanno dentro conflitti irrisolti, con le loro famiglie e con la società, con il loro lavoro, con chi li comanda. Hanno perso verso loro stessi.
Se sono così i personaggi positivi, figurarsi come sono narrati i personaggi negativi, i potenti e gli arroganti, i cattivi. Quelli che alla fine di un romanzo a lieto fine dovrebbero perdere, e qui forse succede, ma solo in una sconfitta temporanea, i cattivi spariscono per essere rimpiazzati da qualcuno più cattivo, più forte di loro.
In mezzo a questa non-lotta tra buoni e cattivi ci sono gli immigrati, i clandestini, i senza storia che si adattano, che lottano per riuscire a mantenere almeno un’ombra delle loro tradizioni, della loro cultura. Il libro di Alessandro Bastasi mi ha fatto vedere le cose sotto un altro punto di vista, mi ha fatto capire perchè per un mussulmano è così importante pregare, usare il velo per le donne, non cedere alla tentazione di mangiare maiale; non è un fatto di forma, non è rigidità, è che quelle e poche altre sono le poche cose che gli sono concesse per continuare, in qualche modo, a sentire ancora di essere, di avere una identità propria.
Un romanzo che mi conferma ancora che la divisione in “generi” della letteratura è una aberrazione; mi ero preparato a leggere un “giallo”. Si, ci sono degli omicidi, ci sono indagini, ci sono meccanismi di concatenazione che sono quelli di un giallo. Ma sono solo un pretesto, un plot narrativo per collegare con un filo logico delle pagine che avrebbero avuto ugualmente senso anche senza morti, indagini, colpevoli.
Come sempre una mia opinione su un romanzo che non svela nulla, non ho scritto neanche un nome di personaggio, neanche un accenno di trama. Abbiate pazienza (e poi, mica vi pagano o vi obbligano, per leggere le mie non-recensioni!), ma io quelli che vi svelano le “trame” di romanzi o film non li sopporto proprio. Una critica? Si vede che Alessandro, per vivere e portarsi a casa uno stipendio deve fare altro. C’è comunque, in alcune delle sue frasi, qui e lì, un’ombra appena accennata come di ingenuità. Ma poi, in fondo, chi dice che questo sia un limite o un difetto? Meglio una storia vera, sia pure con qualche “cribbio” di troppo, che uno dei tanti libro-prodotto industriale, figlio di un marketing editoriale ed omologato, come ormai se ne trovano tanti.

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